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August 6, 2014

FORTE CESARE: perso, dimenticato, e forse ritrovato?

Forte Cesare, 2013
di Luca Antonini, diploma di specializzazione Arca e residente ad Amelia, Italia
Le foto sono di C. Sezgin

L’Italia è famosa nel mondo per il suo ricco e diversificato patrimonio culturale e ambientale, in parte ben conservato nei vari musei di cui è ricco il suo territorio, in parte ancora presente nei siti storici o archeologici di origine; ciò nonostante, una sua fetta consistente giace tristemente dimenticato o trascurato.

L’abbondanza di elementi di interesse storico, artistico e architettonico ha sempre sollevato questioni di  conservazione, spesso in relazione alla limitatezza delle risorse disponibili o alle capacità pubbliche di gestione e di governo. Anche a livello locale, la mancanza di chiarezza, risorse e linee guida ha spesso ingigantito i problemi, e le ambiguità hanno facilitato fenomeni criminali quali saccheggi, atti di vandalismo, oppure dinamiche distruttive avviate da eventi naturali, come inondazioni o terremoti.

Forte Cesare è il nome di un complesso di antichi edifici costruiti sulla cima di una collina in posizione strategica, dominante rispetto ad alcune vallate dell’Umbria centrale, nel cuore dell’Italia. Amministrativamente, ricade nel territorio comunale di Montecastrilli, in provincia di Terni: 30 km a ovest di Orvieto, 20 a sud di Todi, 12 a nord di Amelia e 85 a nord di Roma. Forte Cesare è sempre stato in mani private fino all’inizio del ventesimo secolo, quando entrò a far parte del patrimonio del Comune di Amelia. Recentemente, l’Amministrazione Comunale ha venduto Forte Cesare ad un operatore privato, intenzionato a restaurarlo e riutilizzarlo.

Il sito fu probabilmente abitato al tempo dei Romani, ma le fondamenta degli edifici oggi visibili risalgono al VI – VII secolo d.C., quando un forte era stato edificato lungo la via Amerina, un importante tratto del Corridoio Bizantino. Dopo la caduta dell’Impero Romano del 476, varie vicende e occupazioni si susseguirono nell’Italia centrale, fino al 584, quando Ravenna divenne la città di riferimento dell’Esarcato Bizantino, una sorta di provincia dell’Impero Romano d’Oriente la cui capitale era Costantinopoli. Il resto dell’Italia era stato invaso da varie popolazioni provenienti dal nord Europa. Il solo collegamento sicuro tra Roma e Ravenna era proprio questo corridoio che attraversava l’Italia centrale da poco occupata dai Longobardi, tra l’attuale Toscana a ovest e il Ducato di Spoleto a est: partiva dalla via Cassia, pochi chilometri a nord di Roma, e si riuniva alla via Flaminia pochi chilometri a sud di Ravenna. Il Corridoio Bizantino era una sorta di  passaggio garantito, e al suo interno il tratto indicato come Via Amerina toccava, tra le altre, le città di Orte, Amelia, Todi e Perugia. E Forte Cesare, guarnigione fortificata, aveva il compito di proteggere persone e beni in transito in entrambe le direzioni; probabilmente era anche un luogo di ristoro, di riposo per la notte, oltre che stazione di posta.

Successivamente, il complesso entrò a far parte delle Terre Arnolfe, sotto il controllo dell’Arcivescovo di Spoleto tra il X e l’XI secolo, ma nessun documento ufficiale precedente al XVI secolo sembra sopravvissuto fino ai nostri giorni. La prima testimonianza scritta riporta la cessione di Forte Cesare dalla famiglia Stefanucci agli Atti, una potente famiglia Guelfa originaria di Todi e dominante su Viterbo.

Tra il XVI e il XVII secolo, Forte Cesare fu radicalmente trasformato da sito militare a complesso residenziale. Solo la torre rimase nella sua originaria posizione dominante, mentre tutte le altre costruzioni vennero ricomprese in una nuova villa a tre piani.

Fino ad allora, troviamo il toponimo indicato come “Peroccolo”, in particolare in alcune mappe redatte nel Vaticano nel XIX secolo ma attestanti la situazione sei secoli prima. La prima volta che si incontra ufficialmente il lemma “Cesare” per indicare il sito, risale ad una carta datata 1629; il motivo può essere ricondotto al nome del condottiero che probabilmente sfruttò quel forte nelle sue campagne nel corso del XV secolo: Cesare Borgia, il cui casato sosteneva lo Stato Pontificio nello scontro tra famiglie Guelfe e Ghibelline. Questa è la ipotesi più accreditata, rispetto alla denominazione ancora oggi utilizzata.

Alla fine del XVIII secolo, Forte Cesare fu donato dal Vescovo Francesco Atti alla Propaganda Fide, un’organizzazione creata dallo Stato Pontificio per sostenere attività missionarie e altre iniziative correlate, inclusa la gestione di terreni e altri beni immobili. Propaganda Fide lo affittò immediatamente alla famiglia Verchiani, e pochi anni dopo lo vendette alla famiglia Ciatti, esattamente nel 1808. Angelo Ciatti, ultimo discendente di questo casato, donò l’intera proprietà alla sua morte (1922) al Comune di Amelia.

La gestione comunale risultò problematica fin dagli inizi. Col suo testamento, Angelo Ciatti intendeva indirizzarne le rendite al Collegio Convitto Boccarini di Amelia, sostenendo in tal modo – con un atto di carità - il sistema educativo locale. Il collegio, inizialmente gestito dall’ordine Francescano, passò nel 1932 ai Padri Salesiani; era la più importante scuola non solo in Amelia, ma nell’intero circondario di piccoli e grandi villaggi, nel raggio di parecchi chilometri. In accordo alle volontà di Angelo Ciatti, Amelia divenne il più importante centro scolastico dell’intero territorio rurale; altre istituzioni di pari livello erano localizzate solo a Todi, Orvieto e Terni.

Due problemi emersero dal lascito Ciatti: dapprima una forte opposizione legale da parte di alcuni famigliari, che tentarono di invalidare la volontà di trasferire la proprietà al Comune di Amelia. In secondo luogo, mentre Amelia era il Comune proprietario, terreni ed edifici rientravano nel territorio sotto il governo del Comune di Montecastrilli; i ruoli erano differenti, essendo il primo formale proprietario, mentre all’altro competeva l’indirizzo urbanistico e territoriale. In effetti tale dualismo non sembra abbia inizialmente creato serie questioni tra le parti, ma senza dubbio costituì la ragione di alcune incertezze, di mancanza di collaborazione e di alcuni scarichi di responsabilità che si verificarono nei decenni successivi. Alla fine della seconda guerra mondiale, terreni ed edifici vennero affittati a locali famiglie di agricoltori, e successivamente al Molino Cooperativo, che si occupava di alcune fasi di trasformazione dei raccolti di cereali prodotti nel comprensorio. E’ specialmente dopo il terremoto del 30 luglio 1978 che le condizioni di degrado iniziarono a far sentire i propri effetti su terre ed edifici, e probabilmente in questo stesso periodo iniziarono, o si accentuarono, furti e saccheggi. Ben prima della conclusione del ventesimo secolo, il bene si trasformò per Amelia da risorsa a problema.

Nel 1986, il Comune di Amelia chiese dei contributi pubblici per lo sviluppo economico dell’area, attraverso il programma P.I.M. gestito dal governo regionale dell’Umbria. Forte Cesare era formalmente compreso nel patrimonio oggetto di rilancio, in ben tre misure: la “A”, con 20 ettari di terreni assegnati all’allevamento di daini; la “D”, tra 120 e 150 ettari destinati all’allevamento di ovini; e infine la “E”, la proposta di restauro della villa: una scuola professionale per l’agronomia e l’ospitalità rurale, oltre a un ristorante e a una sezione espositiva per la promozione delle produzioni locali, erano compresi nel progetto, il cui valore (per la sola misura E) ammontava a 1,5 miliardi di Lire. Il programma P.I.M. non fu finanziato, e quindi mai realizzato. Si tratta del solo documento programmatico esistente, nel quale una vaga visione di soluzione integrata era stata delineata ed effettivamente tentata, mettendo insieme terra e immobili. In ogni caso, tali proposte contenevano un grande difetto: la negazione di una qualsiasi consapevolezza e valorizzazione culturale, storica e paesaggistica, sia nell’analisi che nelle conseguenti proposte presentate. Conseguentemente, vent’anni dopo la presentazione delle bozze di progetto in ambito P.I.M., questo susseguirsi di approcci muddling through, o “dell’improvvisazione”, porterà alla vendita di Forte Cesare ad un soggetto privato, in condizioni di ulteriore abbandono, danneggiamento e saccheggio.

Quando il passaggio di proprietà fu perfezionato nel 2005, nessun inventario fu annesso al contratto. Con riferimento al testamento olografo di Angelo Ciatti, originariamente Forte Cesare comprendeva:

BENI IMMOBILI – la villa, circondata da altri 4 edifici minori, le cisterne (elemento molto importante, in quanto quei territori sono generalmente considerati ricchi di risorse idriche, con l’eccezione della collina su cui è costruito proprio Forte Cesare), un grande giardino con vigna, delimitato da un muro perimetrale; la Cappella; le fonti di acqua; i terreni agricoli (per pastorizia e coltivazioni); i boschi e la macchia circostante la villa; il frutteto, che comprendeva ulivi, castagni, viti e altre cultivar

ALTRO – Arredi sacri, non meglio specificati; mobili, suppellettili e accessori domestici; dipinti (non specificati nel numero, nella posizione, nella datazione e nell’attribuzione); altri utensili rurali di uso individuale; bestiame e raccolti.

Questa elencazione sembra essere l’unica forma di inventario mai eseguita su Forte Cesare e sul suo patrimonio mobile e immobile. Una circostanza che lo rende particolarmente prezioso, nonostante la sua genericità. Gli attuali proprietari hanno nel frattempo lavorato ad un progetto che mira al recupero strutturale e funzionale degli edifici, oltre che all’utilizzo economico dell’intera area. Tali progetti non sono ancora stati approvati dalle competenti Autorità pubbliche. L’iter autorizzativo prevede il coinvolgimento del Comune di Montecastrilli, della Provincia di Terni, della Regione Umbria e della Soprintendenza Regionale ai Beni Ambientali, Architettonici, Artistici e Storici.

L’idea punta alla creazione di una struttura ricettiva di segmento superiore con annessi servizi sportivi e ricreativi, tra i quali un campo da golf da 18 buche e una sezione termale. Un progetto ambizioso e lungimirante, ma distante dalle radici di quel pezzo di storia chiamato “Forte Cesare”.

La tesi originale, da cui è stato estratto il testo sopra riportato, venne redatta in inglese da Luca Antonini nel novembre del 2012, con lo stesso titolo, a completamento del suo ciclo di studi con Arca. La professoressa Susan Douglas ha dato un significativo contributo alla revisione del testo al fine dell’adattamento, pubblicato il 24 luglio 2014 nel blog di Arca.

Luca Antonini è laureato in economia all’Università di Torino e ha conseguito il diploma di specializzazione in Criminologia dell’Arte con Arca nell’anno 2012/13. Dalla metà degli anni ’90 lavora in progetti di sviluppo locale e sostenibile co-finanziati dall’Unione Europea. Si è inoltre specializzato nella gestione delle Organizzazioni Non Governative.

For the English version, you may read this earlier post: http://art-crime.blogspot.com/2014/07/forte-cesare-lost-forgotten-and.html.